mercoledì 1 dicembre 2010

La poesia “pagana” di Yves Bergeret

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Parole, natura, uomo: una triade felice di Yves Bergeret, poeta francese e instancabile esploratore del mondo che ha esordito con varie pubblicazioni, in prosa e poesia, negli ultimi tempi, rivelandosi una novità emergente per le sue sperimentazioni poetiche.
Le sue recenti pubblicazioni contano opere come Si la montagne parle (Voix d’encre, Montélimar 2004), Montagne e parola (Gangemi, Roma 2005), La Maison des peintres de Koyo (Voix d’encre, Montélimar 2007), Il mare parla/La mer parle (“I Quaderni di Leggerete”, 2007, a cura di Biagio Guerrera e Giovanni Miraglia), confermando la sua attitudine al confronto con il paesaggio, e in particolar modo con quello montano; la montagna è infatti un privilegiato luogo delle sue mete e della sua ricerca poetica. Spesso i suoi viaggi prevedono performances particolari, servendosi della collaborazione di musicisti per valorizzare il significato evocativo della sua poesia, una felice comunione che sembra riproporre gli antichi rituali primitivi con cui si celebravano le forze della natura. Una semplice lettura a tavolino dei suoi testi sarebbe riduttiva perché la poesia di Bergeret non è fatta per essere letta e consumata nei luoghi dell’anima ma per essere esibita in ampi spazi aperti, per ristabilire un dialogo antico tra la natura e l’uomo in una ricerca inesauribile di tutte le forze primordiali del mondo e dell’uomo, riproponendo una sacralità antica con il veicolo della poesia. È un poeta che ha viaggiato molto (Mali, Cipro, Guyana, Martinica, Sahel): la sua professione di fede nella poesia lo pone come ricercatore in vari luoghi del mondo e tra questi la Sicilia, dove ha collaborato con il ceramista di Caltagirone Andrea Branciforti e, a Noto, con gli artisti Pia Scornavacca e Carlo Sapuppo. Il felice incontro con la ricca civiltà siciliana ha prodotto il suo “Poema dell’Etna”, un lungo componimento e insieme una celebrazione del grande vulcano, in cui Bergeret da prova della sua langue espanse, in una ricerca poetica in cui tutti i segni dello spazio appartengono alla lingua, quindi in un approccio teorico e pratico vissuto all’insegna di una forte relazione con il mondo.
La sua è una liturgia atea, contemporanea, pagana, che valorizza la natura come luogo sacrificale per la sua poesia e come unica deità da venerare, affinché le sue parole possano rivelare l’energia intrinseca e dimenticata della natura con l’ausilio della musica e in particolare degli strumenti a percussione. Proprio per questo Bergeret definisce la sua poesia “geologica”, perché la sua ricerca poetica mira a riproporre un’unità originaria tra la terra e il cielo, tra le forze primordiali della natura e la forza evocativa delle sua poesia-liturgia, come ben dimostra l’interpretazione metaforica dell’Etna. «Il vulcano – afferma Bergeret – è la violenza dell’origine, come se il dito di Dio si fosse impresso nella terra e la terra avesse cercato di trattenerlo e da qui è nato l’Etna, una forza di distruzione non pacificata come l’uomo che abita le sue pendici, tra lo stupore dei suoi fiotti di lava e la paura di una distruzione imminente». “Persona che pone un segno” si definisce Bergeret, proprio come i segni che ricerca e che ha impresso sulla pietra lavica con il pennello intinto nell’inchiostro durante la sua “escursione”, una chiara dimostrazione della sua ricerca di un dialogo tra la natura e la poesia in cui quest’ultima è un tramite privilegiato e una chiave d’accesso del suo itinerarium di poeta e di uomo nel mondo.

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1 commento:

  1. L'articolo è davvero interessante. Sarebbe forse stato utile corredarlo con qualche testo di questo poeta che, a quanto è dato capire, potrebbe rimandare alla memoria il nostro Pierluigi Bacchini.
    un saluto

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