lunedì 13 settembre 2010

Gli affreschi di Lorenzetti del Palazzo Pubblico di Siena: una visione eterna ed attuale della politica



di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Tasse che aumentano, legge bavaglio, intercettazioni non consentite, tagli indiscriminati (in particolar modo alla cultura) e un Governo che diventa sempre più oscurantista. La politica italiana, si sa, non è un modello virtuoso in generale. Troppi laissez-faire, spintarelle, inghippi e accordi sotto banco. Gli effetti del cattivo governo si ripercuotono sulla qualità della democrazia, e l’impressione generale è una strategia di destabilizzazione che miri a rendere meno trasparente e virtuosa la politica italiana. Ma può l’arte in virtù della sua “funzione pubblica” mostrarci, in prospettiva, quali sono gli effetti del cattivo e del buon governo? Può l’arte figurativa illustrarci i vizi e le virtù della politica anche in maniera allegorica, sottilmente retorica, ma vera?
Guardiamo a Siena per interrogare la politica. L’antico forse è in grado di restituirci qualcosa, di promuovere valori e virtù che la realtà non è più in grado di spiegare. Ma loro rimangono lì, le virtù, in un mondo ideale, aspettano di essere riviste e capite, introiettate, percepite come una valuta da spendere nella vita. L’arte ha anche questa funzione: la memoria di certi concetti deve accostarsi alla loro
salutatio, alla loro venerazione. Quando un’immagine non è percepita più come significato essa perde valore: l’immagine diventa un segno, qualcosa che suscita stupore senza illuminarci. Colpa delle immagini quindi? Per nulla: quando non riusciamo a dare un giusto valore alle immagini, che sono delle finestre sulla realtà, forse è il reale in pericolo e la sua costruzione di senso. Estranee alla nostra percezione, le immagini rimangono chiuse nelle loro pareti in attesa di essere riviste con uno sguardo più consapevole, in un futuro indeterminato e magari più virtuoso.
Nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena è conservato il ciclo di affreschi
Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, datati intorno alla terza decade del XIV secolo. Nel Registro Superiore della stanza rettangolare l’intento didascalico è chiaramente illustrato. Lì dove vige il Buon Governo i cittadini vivono nell’armonia, nell’ordine. In alto a sinistra si intravede la cupola del Duomo che si differenzia per la sua inconfondibile dicromia, ed è solo il punto di partenza per una teoria di architetture che domina tutto il piano. Al centro un cerchio di cittadini suggerisce una visione concorde e armoniosa della città, dove nessuna infrazione turba il quieto vivere dei senesi. Uomini a cavallo, artigiani nelle botteghe, commercianti e operai sussiegosi nel loro operare. Nulla sconvolge l’ordine raggiunto, tutto suggerisce una calma raggiunta con l’intelligenza di una politica virtuosa.
Nell'Allegoria del Buon Governo la Giustizia è seduta sul trono, sulla sinistra, guidata dalla Sapienza, con una grande bilancia e due angeli simboli della Legge Civile e Penale. Sotto la Giustizia sta seduta a un banco la Concordia, diretta conseguenza della prima, che dà ai cittadini le corde per muovere i piatti della bilancia della Giustizia. Il Buon Governo è simboleggiato dal vegliardo in armi, protetto dalle tre Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità), mentre ai lati del trono, su un sedile coperto da splendide stoffe, sono adagiate in varie pose le personificazioni della Giustizia, della Temperanza, della Magnanimità, della Prudenza, della Fortezza e della Pace. Famosa è la figura della Pace, mollemente semisdraiata in una posa sinuosa, con un rametto di ulivo in mano. La scena serve ad elencare, con un forte impegno didascalico, tutte le virtù di cui un sovrano dovrebbe disporre. Il messaggio di Lorenzetti è chiaro e fruibile: da un corretto esercizio delle virtù in politica dipende la felicità della cittadinanza.
Allegoria ed Effetti del Cattivo Governo è l’antitesi concettuale e visiva dell’affresco precedente. La superficie pittorica si presenta più danneggiata, come se l’usura del tempo avesse voluto cancellare le sue colpe. Un diavolo antropomorfo simboleggia la Tirannide, fiancheggiata dall’Avarizia, dalla Superbia e dalla Vanagloria. Alla sua corte partecipano il Furore, la Divisione, la Guerra, la Frode, il Tradimento e la Crudeltà. La città è crollante e piena di macerie, dove regnano le azioni più turpi e la violenza fine a se stessa. Tutto è capovolto, antitentico, speculare alla positività dell’affresco precedente; vige la legge dell’animalità, della faida, l’unica legge valida è quella del più forte. Non c’è uno spazio positivo che si possa individuare: solo il Timore vola tra le campagne, a testimoniare l’animo dei miseri che dimorano tra quelle casupole. Non esiste un governo, una legge, uno Stato retto e probo: la politica è una palude stagnante.
Ambrogio Lorenzetti sapeva di respirare un’aria nuova. Lui così colto, intellettuale, laico, non accoglie il parossismo religioso del fratello Pietro ma fa della sua arte un monumento civico imperituro. La tecnica dell’affresco è una tecnica che era già stata sperimentata largamente in Italia (pensiamo alla Cappella degli Scrovegni di Giotto) e si presta alla personalità di ogni artista, che impiega tutti gli spazi della parete come superficie pittorica. Lorenzetti è uomo senese, sa che il governo dei Nove di Siena cerca di illuminare il proprio mandato con una politica prestigiosa e operosa. Siena vuole rivaleggiare con Firenze, il suo gotico è espressione del potere politico e la dicromia bianco/nero è un motivo coloristico che trae le sue radici dalla tradizione romanica toscana. Lorenzetti è un pittore senese che respira la rinnovata
civitas della sua città, ne interpreta i desideri e le ambizioni: Siena vuole dominare, rivaleggia con Firenze, ha i mezzi per farlo e vuole estendere il suo dominio, chiede l’intercessione della Madonna come custode della politica e promuove il gotico in Italia. Non c’è dubbio quindi: Lorenzetti dipinge la città secondo un modello ideale, in lui prevale la didattica e la volontà di descrivere obiettivamente Siena, di rendere manifesta un’aspirazione collettiva e di inquadrarla in una visione d’ampio respiro. È un pittore che dipinge un oggetto di cui ha esperienza diretta, descrivendolo nel più largo orizzonte possibile (è da notare, ad esempio, il contrasto tra la piccolezza delle figure e la vastità dello spazio).
Gli affreschi ci colpiscono per la loro dimensione, per la larga prospettiva concettuale e visiva ma forse anche per la loro contemporaneità, per l’attualità dei principi sempre validi e coerenti. Che qualsiasi Governo debba governare con rettitudine è un fatto assodato ma occorre guardare gli affreschi denudandoli della loro retorica, per coglierne il messaggio profondo. La crisi che tocca una società intera non è mai un fatto isolato ma risale alle sue radici quando la colpa è della politica.
Forse guardare quest’opera d’arte non servirà ad ispirare la classe dirigente attuale ad elevarsi a principi più sani, ma la visione di questi affreschi è lungimirante e attuale insieme: quando la politica degenera gli effetti sono riscontrabili e la società ne paga le conseguenze, perché non esiste effetto senza una causa, proprio come il pesce puzza a partire dalla testa. Ma un italiano in quali di questi due affreschi riconoscerebbe la politica attuale? Domanda tendenziosa, è vero, ma dovremmo stare pur certi che non è il Timore che aleggia nelle nostre campagne e non è l’Armonia che governa le nostre città. Due visioni speculari della politica, due realtà che si confrontano nella politica: gli affreschi di Lorenzetti saranno sempre attuali ed eterni nella loro verità, ma rimangono invisibili per chi dovrebbe imparare tanto da loro.
Ma chi organizzerà una visita guidata per i nostri politici, dopo che gli abbiamo pagato tante di quelle cose?

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