sabato 12 dicembre 2009

Moravia, "1934"

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

Invito alla lettura.


Un romanzo esemplare di appena sedici capitoli in cui Moravia parla della disperazione come unica legge di vita, descrivendo e denunciando implicitamente lo spirito della borghesia degli anni ’80 “suicida a sé stessa”.

La vicenda è ambientata nell’Italia fascista e troverà il suo sviluppo a Capri quando Lucio, un giovane intellettuale, anti-fascista solo perché odia il conformismo e la massa, amante di Kleist e di Nietzsche, spera di trovare lì l’ispirazione per scrivere un libro portando con sé nell'isola una condizione di profonda melanconia: il compito dei suoi pensieri sembra difatti essere quello di "stabilizzare la disperazione", cioè di porsi nella condizione di convivere con la propria disperazione esistenziale senza cadere nel buio richiamo del suicidio.

Nella stessa pensione dove pernotta, Lucio avrà modo di conoscere Beate, una malinconica e riservata attrice tedesca che sembra volergli comunicare con un gioco di sguardi, turbamenti, silenzi allusivi, ammiccamenti appena accennati, quelle stesse inquietudini che pervadono l'animo del giovane. Quando a poco a poco Lucio si innamorerà di lei e del mistero che racchiude, Beate lascerà Capri senza che nulla sia avvenuto e al suo posto arriverà la sua gemella, Trude, identica a Beate ma più spregiudicata e accattivante. La vicenda sembra complicarsi perché Lucio comincerà a chiedersi se Trude e Beate siano veramente gemelle o se siano la stessa persona, investigando in un gioco complesso di conturbante sessualità e perfetta mistificazione, che Beate sembra proporgli fino al tragico epilogo del suicidio della ragazza.

Il titolo è dedicato all’anno in cui il discorso di Hitler (30 Giugno del, appunto, 1934) diede il via ad una notte di sangue, “la notte dei lunghi coltelli”. Moravia difatti non rinuncia a calare i propri personaggi negli eventi politici del tempo, nonostante il vero tema sia l’idea che il protagonista chiarisce, a sé stesso e al lettore, di rendere culturale la disperazione, di integrarla nella vita. Di fronte al furore suicida di Beate, Lucio pensa che sia necessario fare della disperazione una condizione normale, vissuta stoicamente, di sentirla come una legge di vita perché la ritiene l'unica maniera possibile per vivere.
Lucio ha ventisette anni nel romanzo e colpisce il fatto che proprio nel 1934 Moravia aveva la stessa età del protagonista, come se lo scrittore volesse dichiarare la paternità di tutta quella schiera di intellettuali di cui si sente parte, utilizzando una narrazione in prima persona che rivela unanimità di idee e sentimenti che accomunano scrittore e protagonista. Inoltre la storia e la società fanno da cornice all’analisi psicologica anche se lo scrittore non li pone sullo stesso piano bensì li amalgama. Ma il vero tema di 1934 consiste nel far gravitare intorno agli interrogativi sulla disperazione e sul suicidio tutto il romanzo, e il posto d’onore viene lasciato a quella storia costruita sugli sguardi, sulle parole non dette, sui pensieri carpiti, sugli indizi che Beate lascia trovare a Lucio.

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