giovedì 3 dicembre 2009

Ce ne ricorderemo di lui?

di Francesco Barresi (ruutura@hotmail.it)

A vent’anni dalla sua scomparsa è ancora vivo il ricordo di uno degli intellettuali più statuari che il Novecento abbia potuto partorire e cullare nelle sue atrocità e misfatti.
Il ricordo di Leonardo Sciascia torna vivo nella mente dei lettori italiani quando, per ricordare lo scrittore di Racalmuto, il 30 ottobre 2008 viene lanciato ufficialmente a Firenze un manifesto dal titolo “Ce ne ricorderemo di questo maestro”, che è stato firmato da decine di uomini di cultura in varie parti del mondo: il Nobel 2006 per la Letteratura, Orhan Pamuk, il direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, Salvatore Settis, scrittori come Andrea Camilleri, Dacia Maraini, Mario Andrea Rigoni e Vincenzo Consolo, filosofi come Fernando Savater e Massimo Piattelli-Palmarini, uomini politici come Marco Pannella ed Emanuele Macaluso, l'editore Elvira Sellerio, pittori come Piero Guccione e Bruno Caruso e molti altri.
Celebri sono i film tratti dai suoi romanzi come Il giorno della civetta, diretto dal regista Damiano Damiani nel 1968, con il quale lo scrittore indica nel giallo il genere di riferimento delle sue opere, oppure A ciascuno il suo diretto da Elio Petri nel 1966, tratto dall’omonimo romanzo.
Potremmo parlare di tutta la copiosa e fortunata produzione di questo grande scrittore ma è doveroso ricordare anche il suo impegno nella lotta al terrorismo, alla mafia, che coraggiosamente Sciascia denunciò nei suoi romanzi e nella sua prassi politica, assumendo l’incarico di componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro ( che darà i natali al fortunato libro, L’affaire Moro) e sul terrorismo in Italia.
Torna sempre più attuale la sua ironica e pungente denuncia delle connivenze tra Stato e mafia, che nelle sue parole scorre fluida con allusive osservazioni e ammiccamenti che incredibilmente sembrano alludere all’Italia di oggi.
La sua figura di uomo di lettere e intellettuale impegnato sembra contraddire quelle ombrose figure di intellettuali moraviani sempre più dediti ad una acerba speculazione, mentre la sua voce è una voce critica garante delle sua coerenza morale, che lo portò persino a dimettersi nel 1977 dalla carica di consigliere del P.C.I. dopo scontri molto duri con la dirigenza del partito, sempre più ancorata ad una retorica populista e ormai svuotata di quel generoso movimento rivoluzionario che ben lo esaltò ad alfiere di giustizia. E in quello stesso anno la critica acuta di Sciascia ritorna, pubblicando Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (dove è chiaro il riferimento al Candido di Voltaire) in cui rivela, sempre in un sottile gioco di allusioni e immagini, l’amarezza della sua esperienza politica.
Ma ciò che rimane veramente impresso è il lapidario commento lasciato, alla fine della sua vita, davanti il cimitero di Racalmuto: «Ce ne ricorderemo di questo pianeta» desunto da un manoscritto conservato dalla famiglia, in cui Sciascia scrive: «Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l'Isle-Adam: "Ce ne ricorderemo di questo pianeta". E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano».
Potremmo forse dire, come sintetica conclusione, che Sciascia non aveva intuito una cosa: se la nostra memoria, spezzata dalla morte, probabilmente ci impedirà di ricordarci di questa Terra proprio come recita il suo epitaffio, sicuramente non abbiamo mancato all’appuntamento di ricordarci di lui, un grande modello di intellettuale da porre come esempio nostalgico, uomo che fece del dubbio il lume della sua speculazione critica, icona di uno scrittore profondamente radicato nella sua amatissima terra, la Sicilia, luogo affascinante e contraddittorio che lo portò ad assurgerla come metafora della vita mentre lui, Sciascia, continuava ad indagare la realtà con gli occhi di un uomo vissuto all’insegna della propria coerenza morale, virtù che dopo vent’anni dovrebbe essere gridata a calda voce a chi tale virtù la dichiara a parole solo durante le campagne elettorali per il proprio tornaconto.
Speriamo allora di poterci ricordare di lui, di leggerlo, di interiorizzarlo, di capire il messaggio profondo che traspare dalle sue pagine, perché lasciare Leonardo Sciascia negli scaffali del dimenticatoio non sarebbe uno scandalo in senso stretto, ma solo la conferma di una società italiana che attende da tempo una rigenerazione morale, troppo a lungo rimandata.

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2 commenti:

  1. Lessi tutto Sciascia, in tempi che non potevo permettermi acquisti di libri, feci un sacrificio enorme e comprai a rate tutta la collana Einaudi.
    Da allora è stato il mio scrittore preferito.
    Amo la sua profetica chiarezza, il suo cassandrico dire, il suo disprezzo per le lusinghe e il "candido" scrivere a prova di verità, a oltranza.
    Ora so più che mai quanto avesse ragione!
    Mala tempora.....

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  2. Ritengo Sciascia uno dei più grandi autori del nostro tempo. Ho cominciato a leggerlo da ragazzo, cercando di capire l'intima trama dei suoi pensieri filosofici e sociali, assorbendone l'ardire e lo stato di denuncia. Un monumento letterario ed umano, imprescindibile dalla cultura contemporanea e futura.

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