domenica 11 ottobre 2009

Hume e l'Illuminismo

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Nadia Boccara, Il buon uso delle passioni. Hume filosofo morale: una biblioteca possibile, Liguori, Napoli 1999

Questo testo racchiude le Ricerche svolte da Nadia Boccara presso l’Istituto di Scienze Umane e delle Arti della Facoltà di Lingue e Letterature straniere moderne dell’Università della Tuscia di Viterbo, dove la stessa Boccara insegna Filosofia Morale; esso è apparso anche in traduzione francese come N. Boccara, David Hume et le bon usage des passions, l’Harmattan, Paris 2006 (è da registrare il fatto che il quarto capitolo della parte terza ed il sesto capitolo della parte quarta non sono presenti nella versione francese).
Il punto d’avvio di tali Ricerche è fissato in quella crisi dell’assolutezza dei valori, in quella eclissi della verità e delle certezze (da molti e diversi moderni pensatori constatata) che, in epoca moderna, priva la riflessione morale di solide fondamenta sulle quali erigersi. Di fronte a tale “crisi della ragione”, fa notare l’autrice, le religioni e la scienza si pongono come i “paladini” della verità, come delle autorità che, proprio in quanto tali, possono restituire quelle certezze morali che l’epoca moderna sembra avere dissolto.

Esiste tuttavia un’altra possibile risposta, quella corretta per l’autrice, alla crisi della ragione: la risposta che già nel Settecento diede l’Illuminismo il quale, sia nella veste di periodo storico che in qualità di movimento filosofico, necessita oggi di essere ripensato. Ovviamente nel testo della Boccara non si sorvola sul germe del dispotismo e sul nesso Lumi-Terrore, così come lo definisce lo studioso americano Lester Crocker, insiti nell’Illuminismo, tuttavia questi fattori vengono considerati come delle derive esterne ai “normali” valori illuministici, valori che, diversamente da quanto si è abitualmente portati a pensare, non sono, per l’autrice, di esaltazione della razionalità, ma al contrario, di “rivolta contro il razionalismo” in favore della corporeità e della soggettività umana, come sostiene lo studioso tedesco-americano Peter Gay, che vede nell’Illuminismo la conclusione di un processo di secolarizzazione dell’etica affondante le sue radici nel paganesimo del mondo classico e sfociante, infine, nella teoria sui sentimenti e sulle passioni di illuministi quali Diderot, Voltaire, Vauvenargues e, soprattutto, David Hume.

In questo testo Hume viene infatti riletto dalla Boccara in una maniera particolare ed innovativa. Non ricostruendone, come abitualmente viene fatto, le relazioni con la filosofia britannica e le ripercussioni nell’ambito analitico contemporaneo, bensì soffermandosi su alcuni temi centrali del suo pensiero, fra i quali il principale è individuato nella riflessione sulla morale. Viene così mostrato come il pensiero morale humiano condivida alcuni fondamentali tratti con la moralistica continentale, in particolare con quella francese, e con autori quali Seneca, Bayle, Descartes, La Rochefoucauld, Mandeville e Montagne, che, da tale punto di vista, potrebbero costituire la biblioteca “possibile” del filosofo scozzese.

Attraverso tale percorso teorico l’autrice ci fornisce un’immagine di Hume molto diversa da quella abituale (forse si potrebbe dire da quella della “vulgata”), tratteggiando il pensiero humiano come un pensiero orbitante attorno al concetto di ragione, intesa però non come una fredda attività raziocinante, ma come una sorta di istinto, una “passione calma” che funge da faro per le credenze e le scelte della vita ordinaria. La ragione, insomma, non come una astratta e distaccata capacità conoscitiva, ma come una “passione pensante”, la quale però può esercitarsi solo tramite l’interazione con il prossimo. Si spiegano così le scelte humiane del “rifiuto della solitudine” e dell’esaltazione della “civil conversazione”.

Posto il pensiero di Hume in questi termini, non appare azzardato parlare di “umanesimo huminano”, leggendo così Hume come uno dei filosofi britannici in cui è maggiormente presente l’eredità della civiltà umanistica, che si concretizza in un certo Illuminismo definibile come il «compimento di un processo di secolarizzazione dell’etica e della ragione dell’Occidente: un processo che affonda le sue radici nel paganesimo del mondo classico» (P. Gay, The Enlightenment: An Interpretation, I, The rise of moderrn paganism, Wilwood House, London 1973, p. 425).

Per Hume, dunque, le passioni non sono paragonabili né a calcoli, né ad aspettative utilitaristiche, bensì esse sono delle autonome pulsioni che ci fanno provare curiosità ed interresse per il modo, facendoci così uscire da noi stessi e negando così la dimensione dell’isolamento (ma non quella della solitudine, propedeutica al dialogo con se stessi); le passioni, insomma, ci rendono degli esseri sociali e fra queste la più importante risulta essere quella del self-interest che, spingendo il soggetto verso il mondo, nega la contrapposizione fra egoismo ed altruismo e oltrepassa tali schematizzazioni in direzione di un concetto conciliante il soggetto con il mondo: quello di giustizia.

La concezione dell’amor proprio risulta così essere la nozione fondamentale dell’etica.

(«B@belonline/print», e «B@belonline.net», n. 4, 2008)

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