mercoledì 13 maggio 2009

La politica al servizio dell'economia

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Buona parte delle possibilità di comprensione della società contemporanea passano attraverso la decifrazione delle relazioni che legano l’economia alla politica. A tale proposito risulta particolarmente interessante l’interpretazione marcusiana dei rapporti tra capitalismo e totalitarismo, un’interpretazione che scorge la genesi del nazismo nel passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello monopolistico, nel quale industria partito ed esercito (la totalità della classe dirigente) sono sì distinti ma risultano accomunati dagli stessi interessi, incarnati dal Führer, e dalla conquista della sfera privata, e che vede nei totalitarismi del XX secolo un’aggressiva modificazione della forma del capitalismo ottocentesco.
All’interno della cosiddetta Scuola di Francoforte (quell’orientamento di pensiero che scaturisce dall’Istituto per la Ricerca Sociale) si sviluppa un’intensa analisi dei rapporti fra capitalismo e nazismo, che sfocerà nella successiva critica della società industriale avanzata.
Negli anni Quaranta Friedrich Pollock definisce il nazismo come la versione totalitaria del capitalismo di Stato(1), il quale rappresenta il nuovo ordinamento sociale del capitalismo monopolistico, a sua volta derivante dall’economia liberale del laissez faire. Il tratto fondamentale del capitalismo di Stato risiede nell’avere eliminato la causa decisiva delle crisi economiche, sopprimendo l’autonomia del mercato e creando così una forma duratura di organizzazione sociale. E’ per questa ragione che, per Pollock, il nazismo non sarebbe mai potuto crollare dall’interno, ma solo a causa di un fattore esogeno come, ad esempio, la sconfitta militare(2). Stimolato dalla, e sostanzialmente d’accordo con, l’ipotesi di Pollock sul capitalismo di Stato, Max Horkheimer contribuisce a tale dibattito con lo scritto Lo Stato autoritario (inizialmente avente come titolo Il capitalismo di Stato(3)), in cui specifica come la stabilizzazione economica statale avvenga tramite una trasformazione dei rapporti fra politica ed economia. Il potere politico, infatti, si fonde con quello economico, dando vita ad una nuova forma di potere impersonale, poiché non controllato né dai politici, né dagli imprenditori, ma dalla nuova figura sociale del manager, che diventa così l’emblema di una nuova era e di una nuova classe dominante. In disaccordo con la tesi del capitalismo di Stato si pone invece Franz Neumann, per il quale il capitalismo ha tutt’altro che risolto le sue contraddizioni interne(4). Tali contraddizioni sono state semplicemente spostate ad un livello più alto, e coperte da un imponente apparato burocratico e dall’ideologia völkisch. Esse, in verità, non solo permangono ma vengono perfino accentuate dal processo di monopolizzazione capitalistica, che rafforza il potere dei grandi “capitani d’industria” ed indebolisce i ceti medi e bassi. Secondo Neumann, il nazismo riesce a mantenersi economicamente dinamico e produttivo non perché abbia eliminato l’autonomia del mercato, come per Pollock ed Horkheimer, ma nonostante abbia eliminato i meccanismi del mercato: esso impone un potere politico totalitario che alimenta l’economia unicamente per soddisfare in maniera diretta ed immediata le proprie esigenze. Per Neumann il nazismo non è una forma di capitalismo di Stato, per il semplice fatto che il nazismo è un non-Stato, esso costituisce infatti

una forma di società in cui i gruppi dominanti controllano il resto della popolazione in modo diretto, senza la mediazione di quell’apparato coercitivo ancorché razionale fino ad oggi conosciuto come Stato(5)

Di fronte al dibattito francofortese sul nazismo, Herbert Marcuse cerca di operare una sintesi fra le diverse posizioni esistenti nell’Istituto(6), mosso dalla convinzione che lo Stato totalitario possa essere compreso e superato solo a partire dalla chiarificazione dei mutamenti sociali che, dall’età del laissez faire e passando attraverso le varie forme assunte dalla società industriale, ne hanno determinato l’avvento.
Il primo contributo di Marcuse allo studio del nazionalsocialismo è rappresentato dal saggio La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato, concepito come commento al discorso tenuto da Adolf Hitler nel 1934 agli industriali di Düsseldorf(7) In esso si sottolinea come le differenze fra liberalismo e Stato totalitario siano superficiali, nonostante il secondo si presenti in contrapposizione al primo, entrambi condividono infatti, essenzialmente, la credenza nelle leggi naturali, la radicale opposizione al marxismo e la difesa del modo di produzione capitalistico; le loro differenze sono meramente funzionali alla transizione dal capitalismo competitivo, basato sull’impresa individuale, a quello monopolistico, concentrante il potere economico nelle mani di pochi grandi trust,

si può dire che sia il liberalismo stesso a «generare» lo Stato totalitario ed autoritario, che ne è il perfezionamento in uno stadio avanzato di sviluppo. Lo Stato totalitario ed autoritario fornisce l’organizzazione e la teoria della società che corrispondono allo stadio monopolistico del capitalismo(8)

In altre parole, la concezione totalitaria dello Stato ha dato vita ad una forma di capitalismo meno competitiva e meno anarchica, non lasciante spazio all’attività individuale; tuttavia, come si è visto, ciò non comporta una rottura col passato liberale, poiché non risulta intaccata la precedente struttura economica, che viene anzi esaltata nella figura “eroica” del capitano d’industria:

La nuova concezione del mondo disprezza il «mercante» ed esalta il «geniale capitano d’industria»: così però maschera soltanto il fatto che essa lascia intatte le funzioni economiche del borghese […] Il pensiero carismatico-autoritario del capo è già prefigurato nella celebrazione del geniale capitano d’azienda, del boss «nato», compiuta dal liberalismo(9)

In un successivo lavoro, il nazismo viene definito come una forma di “tecnocrazia” poiché in esso la ricerca del profitto è stata gradualmente sostituita da quella dell’efficienza tecnica:

Nella Germania nazista il regno del terrore non è sostenuto solo dalla forza bruta, estranea alla tecnologia, ma anche dall’ingegnosa manipolazione del potere insito nella tecnologia […] Questa tecnocrazia terroristica non si può attribuire alle eccezionali esigenze dell’“economia di guerra”; quest’ultima non è che lo stato normale di quell’ordinamento nazionalsocialista del processo sociale ed economico, di cui la tecnologia rappresenta uno dei principali stimoli(10)

Inoltre, anticipando le riflessioni de L’uomo a una dimensione, Marcuse distingue qui fra “tecnica”, l’apparato dell’industria, dei trasporti e delle comunicazioni, in sé neutrale, e “tecnologia”, un determinato modo di produzione. Per questo la tecnologia è sempre

una forma di organizzazione e perpetuazione (o trasformazione) dei rapporti sociali, una manifestazione del pensiero e degli schemi di comportamento prevalenti e uno strumento di controllo e di dominio(11)

E la tecnologia, asservita al nazismo, rappresenta

Un esempio evidente delle modalità in cui un’economia altamente razionalizzata e meccanizzata e dotata della massima efficienza produttiva può operare nell’interesse dell’oppressione totalitaria(12)

Ma quali sono i tratti distintivi che caratterizzano lo Stato totalitario? Esso ha trasformato i rapporti economici in rapporti politici, conseguentemente lo Stato monopolizza l’economia, strumentalizzandola per i propri interessi:

il nazionalsocialismo ha soppresso i tratti distintivi che hanno caratterizzato lo Stato moderno. Esso tende ad abolire ogni separazione tra Stato e società attraverso il trasferimento delle funzioni politiche ai gruppi sociali attualmente al potere […] (il nazismo tende così) all’autogoverno diretto e immediato dei gruppi sociali dominanti sul resto della popolazione(13)

Se tale impostazione, da un lato porta evidenti vantaggi per i grandi cartelli industriali, a causa dell’identificazione immediata dei loro interessi con quelli statali, dall’altro richiede alle industrie l’abolizione d’ogni forma d’indipendenza: nello Stato totalitario non esiste nessuno scarto tra la politica e la società; tutte le relazioni sociali devono tradursi in relazioni politiche.

Le relazioni economiche, dunque, devono essere trasformate in relazioni politiche; l’espansione e il dominio di tipo economico non solo devono essere integrati, ma anche superati dall’espansione e dal dominio di tipo politico […] nella misura in cui le forze economiche diventavano direttamente forze politiche, esse perdevano il loro carattere indipendente. Esse potevano sbarazzarsi delle loro limitazioni e dei loro disordini interni solo rinunciando alla propria libertà(14)

L’abbattimento delle barriere che separano l’individuo dalla società richiede, inoltre, la conquista di una nuova frontiera del dominio: la sfera privata(15). Anch’essa deve infatti essere politicizzata facendo sì che il tempo libero sia, da un lato, asservito all’incremento della produttività e, dall’altro, costantemente controllato dal Reich, che previene così la formazione di un’eventuale pensiero critico nei suoi confronti.
Ed ancora, la classe dirigente dello Stato totalitario dispone di una specifica struttura multipla(16). Il potere è infatti diviso tra la grande industria, il partito e l’esercito, e tali forze si ritrovano, a volte, in conflitto fra loro; tuttavia, ciò che le tiene insieme è il comune interesse nella sopravvivenza del regime, emblematicamente rappresentato dalla figura del Führer. Egli si pone quindi come figura mediatrice fra le forze sociali, e solo in conseguenza di tale funzione (pertanto indirettamente) come “sovrano”; la sua autorità resterà inalterata solo fintantoché egli riuscirà a garantire il funzionamento dello Stato.

Lo Stato nazionalsocialista emerge in questo modo come la sovranità tripartita dell’industria, del partito e dell’esercito, che si sono divisi fra di loro quello che un tempo era il monopolio della forza legittima […] Gli attuali gruppi al potere non credono nelle ideologie e nel potere misterioso della razza, ma seguiranno il Führer fintantoché egli resterà ciò che è stato fino ad ora, il simbolo vivente dell’efficienza(17)

L’attenzione di Marcuse non è però rivolta solo ai meccanismi politico-economici che tengono in vita il nazionalsocialismo, ma anche al suo impatto sociale, da cui si sviluppa un nuovo tipo di razionalità: la “razionalità tecnica”. Essa rappresenta l’uso della razionalità come strumento di dominio di massa, e deriva dall’applicazione a tutte le relazioni umane dei meccanismi tipici del processo tecnologico: nello Stato nazista tutte le relazioni sociali sono all’insegna dei criteri della velocità, della produttività e dell’efficienza.

Questa razionalità funziona secondo criteri di efficienza e precisione, ma nello stesso tempo è separata da tutto ciò che la lega ai bisogni umani e ai desideri individuali, ed è interamente adattata ai bisogni di un dominio onnicomprensivo. I soggetti umani e il loro lavoro organizzato in modo burocratico sono solo mezzi per un fine oggettivo: il mantenimento dell’apparato con un grado sempre crescente d’efficienza(18)

Questo Stato funziona, quindi, come una grande impresa, come «un gigantesco cartello monopolistico che è riuscito a controllare la competizione interna e a sottomettere le masse dei lavoratori»(19). Per questo, il fatto che il nazionalsocialismo faccia ricorso a dei principi mitici (che per Marcuse costituiscono il “livello mitologico” della nuova mentalità tedesca) che si contrappongono ai principi fondamentali della civiltà occidentale, non significa che il nazismo sia l’inevitabile risultato delle radici culturali irrazionali del mondo germanico, affondanti sostanzialmente in Martin Lutero, Johann G. Herder e Friedrich Nietzsche(20), al contrario, il livello mitologico della nuova mentalità tedesca svolge il ruolo di “comunità linguistica sovra-tecnica”, mascherando l’avvento della razionalità tecnica. La nuova mentalità tedesca ha quindi poco in comune con quella precedente, di cui si spaccia come restaurazione, ed è invece simile a quella delle moderne democrazie occidentali. Inoltre, è estremamente interessante il fatto che Marcuse avesse previsto come il superamento della forma mentis nazista sarebbe avvenuto solo proponendo, in alternativa a quella nazista, una società altrettanto efficiente ma in grado di conservare le libertà politiche liberali, che il nazismo ha dovuto abolire(21); viene per tal via previsto l’insorgere di quella società consumistica, successivamente descritta ne L’uomo a una dimensione.
Non c’è pertanto da stupirsi se l’adesione di Martin Heidegger al nazismo segna la fine dei rapporti personali di Marcuse con il suo primo maestro. Significativa a questo proposito è la risposta che, nell’ambito di un carteggio risalente al 1947-’48, il filosofo francofortese dà all’autore di Essere e tempo, dopo che quest’ultimo ha equiparato il genocidio ebraico perpetrato dai nazisti alla deportazione dei tedeschi dell’Est operata dagli Alleati:

Con questa affermazione Lei non si pone al di fuori della dimensione in cui, in generale, ogni conversazione è possibile – fuori dal Logos? Perché solo fuori della dimensione della «logica» è possibile spiegare, relativizzare, «comprendere» un crimine, affermando che gli altri hanno fatto la stessa cosa. Ed ancora: com’è possibile mettere sullo stesso piano la tortura, la mutilazione, l’annichilimento di milioni di uomini, con il trasferimento forzato di gruppi di popolazione che non hanno sofferto nessuno di questi oltraggi (a parte forse casi molto eccezionali)?(22)

Marcuse ritiene, insomma, il totalitarismo una tappa (quella specificatamente tedesca) della generale evoluzione del sistema capitalistico-industriale che, in contesti diversi, si manifesta in forme storiche diverse (come ad esempio, il liberalismo, il nazi-fascismo, il comunismo sovietico(23) ed il consumismo). Conseguentemente per Marcuse, non sono adeguati i criteri con i quali si delinea e si identifica, abitualmente, una forma sociale totalitaria.

Il termine «totalitario», infatti, non si applica soltanto ad una organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economico-tecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. Essa preclude per tal via l’emergere di una opposizione efficace contro l’insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione, sistema che può essere benissimo compatibile con un «pluralismo» di partiti, di giornali, di «poteri controbilanciantesi», ecc.(24)

L’avere interpretato il totalitarismo novecentesco come uno stadio del complessivo sviluppo capitalistico-industriale, consente a Marcuse di intravedere, negli anni Settanta, l’avvento di una nuova fase di tale sviluppo(25), prefigurando quel fenomeno oggi chiamato “globalizzazione”.

1) Cfr. F. Pollock, Capitalismo di Stato: possibilità e limiti, in Teoria e prassi dell’economia di piano, De Donato, Bari 1973.

2) Cfr. F. Pollock, Il nazionalsocialismo è un ordine nuovo?, in G. Marramao (cura), Tecnologia e potere nelle società post-liberali, Liguori, Napoli 1981.

3) Cfr. M. Horkheimer, Lo Stato autoritario, in La società di transizione, Einaudi, Torino 1979; per l’inquadramento di questo saggio nell’ambito dell’ampio dibattito tedesco sullo “Stato totale”: C. Galli, Strategie della totalità, in «Filosofia politica», n. 1, 1997.

4) Cfr. F. Neumann, Behemoth, Mondadori, Milano 1999.

5) Ibidem, p. 512.

6) Le diverse interpretazioni del nazismo segnano, probabilmente, la fine della Scuola di Francoforte come orientamento unitario di pensiero, facendo emergere tutte le differenze teoriche dei vari intellettuali orbitanti attorno all’Istituto per la Ricerca Sociale.

7) Cfr. J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione, Unicopli, Milano 1983.

8) H. Marcuse, La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato, in Cultura e società, Einaudi, Torino 1969, p. 19.

9) Ibidem, pp. 11 e 18.

10) H. Marcuse, Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia, in G. Marramao (cura), Tecnologia e potere nelle società post-liberali, cit., p. 138.

11) Ibidem, p. 137.

12) Ibidem, p. 138.

13) H. Marcuse, Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 15, parentesi mia; questo saggio nasce dalla rielaborazione del testo di una conferenza tenuta nel 1941 presso la Columbia University di New York, all’interno di un ciclo di conferenze organizzate dall’Istitute of Social Research, cui seguirono, fra gli altri F. Neumann (The New Rulers in Germany) e F. Pollock (Is National Socialism a New Social and Economic System?).

14) Ibidem, pp. 19-21.

15) A questo proposito cfr. E. Jünger, La mobilitazione totale, in «Il Mulino», n. 5, 1985, e C. Galli, Ernst Jünger: la mobilitazione totale, in Modernità, Il Mulino, Bologna 1988.

16) La descrizione di tale struttura è mutuata dal Behemoth di Neumann.

17) H. Marcuse, Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al naziosmo, cit., pp. 22-23.

18) Ibidem, p. 24; affine a questa linea di pensiero è anche l’interpretazione offerta dal testo di Z. Bauman, Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna 2002, per il quale l’Olocausto può essere visto come «un raro, ma tuttavia significativo e affidabile, test delle possibilità occulte insite nella società moderna […] di fronte all’efficienza fattuale dei più celebrati prodotti della civiltà: la sua tecnologia, i suoi criteri razionali di scelta, la sua tendenza a subordinare pensiero e azione alla pragmatica economica ed efficientista. Il mondo hobbesiano dell’Olocausto […] è apparso sulla scena […] a bordo di un veicolo uscito da una fabbrica, cinto di armi che soltanto la tecnologia più avanzata è in grado di produrre, eseguendo un itinerario tracciato da organizzazioni gestite con criteri scientifici. La civiltà moderna non è stata la condizione sufficiente dell’Olocausto, ma ha rappresentato senza alcun dubbio la sua condizione necessaria», pp. 30-32.

19) H. Marcuse, Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo, cit., p. 27.

20) Cfr., ad esempio, P. Viereck, Dai romantici a Hitler, Einaudi, Torino 1948.

21) Cfr. H. Marcuse, La nuova mentalità tedesca, in Davanti al nazismo, cit.

22) H. Marcuse, Carteggio con Heidegger, in Davanti al nazismo, cit., p. 133. Il carteggio venne pubblicato per la prima volta in lingua originale (tedesco) sulla rivista «Pflasterstrand», n. 279/280, 1985, e tradotto in italiano in «Fenomenologia e Società», n. 1, 1989; in entrambi i casi, però, è assente la lettera di Heidegger, e quelle di Marcuse sono mancanti di alcuni periodi, mentre, nel volume, da cui è tratta la citazione, si traducono integralmente le lettere di Marcuse, così come appaiono in P.-E. Jansen (cura), Befreiung Denken – Ein politischer Imperativ, Verlag 2000, Offenbach 1990, rimane però assente quella di Heidegger, pubblicata parzialmente in «Reset», n. 50, 1998.

23) Sebbene Marcuse critichi la riduzione del marxismo ad ideologia positiva (cfr. H. Marcuse, Soviet Marxism, Guanda, Parma 1968), egli però rifiuta l’equiparazione arendtiana di comunismo e nazismo, continuando a riporre fiducia nelle potenzialità “umanistiche” del comunismo marxiano originario.

24) H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967, p. 17; tale posizione avvicina Marcuse ad Emmanuel Lévinas e Vladimir Jankélévitch che, già dagli anni Trenta, interpretano il totalitarismo come l’evento nientificatore per eccellenza della moderna umanità occidentale, cfr. E. Lévinas, Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, Quodlibet, Macerata 1996, e V. Jankélévitch, Il nazismo e l’essere, in «Micromega», n. 5, 2003.

25) Cfr. H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, in La dimensione estetica e altri scritti, Guerini, Milano 2002.

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