giovedì 28 maggio 2009

Invito al pensiero di Platone

di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

Dalla impronta delle riflessioni platoniche è profondamente segnato tutto il pensiero occidentale (da qui il giudizio di Witehead secondo il quale la storia della filosofia occidentale non è che un seguito di chiose e note in margine alle opere di Platone). In polemica sia con i naturalisti presocratici, impegnati in uno studio empirico della vita anziché in un tentativo di conoscenza di sé stessi, sia con i sofisti, dei quali critica la mancanza di fiducia verso una Verità superiore alle opinioni e il ruolo del filosofo come mero persuasore anziché come ponte verso la Verità stessa, Platone si pone come l'autentico erede di Socrate. Dal maestro egli riprende il procedimento, esemplificato nei dialoghi, della maieutica mirante a far partorire all'interlocutore stesso la Verità; l'idea che nessuno compie il male volontariamente ma solo per ignoranza del Bene; l'impossibilità di una definizione esatta delle virtù dell'etica greca; il problema dell'insegnabilità della virtù; la concezione della politica secondo giustizia.
Il cuore della filosofia platonica è rappresentato dalla dottrina delle idee, secondo la quale le idee non sono pure rappresentazioni mentali bensì entità veramente esistenti, immutabili e perfette, situate in una dimensione diversa dalla nostra, chiamata Iperuranio ("al di là del cielo"), esse si differenziano dalle cose, copie mutevoli e imperfette delle idee; oggetto della scienza mondana sono le cose dalle quali deriva una forma di conoscenza mutevole ed imperfetta che Platone chiama "opinione" (doxa), mentre dalla contemplazione delle idee scaturisce la Verità (epistème) immutabile e perfetta. La dimensione terrena e quella dell'Iperuranio sono messe in contatto dal filosofo, essendo egli l'unico in grado di intuire le idee, trattenerne il ricordo e potendo così proporre l'adesione della realtà (mondo) alla Verità (Iperuranio). Da qui l'esigenza di porre i filosofi al potere, nell'ambito di uno Stato ideale dominato dalla giustizia e in cui ogni classe e ogni individuo attenda al compito che gli è proprio. L'animo di ciascun individuo è diviso in tre parti (razionalità, irascibilità, concupiscibilità) ma solo una di queste è la dominante; l'emersione di una parte determina l'appartenenza dell'individuo ad una delle tre classi sociali (reggitori, soldati, produttori) che risolvono tutti i compiti di uno Stato (governo, difesa, economia). Dentro tale Stato è bandita la proprietà privata a favore della comunanza dei beni, in special modo per i governanti, cosicché essi, al di là dei loro propri interessi, attendano senza distrazioni alla gestione della "cosa pubblica". La comunanza dei beni è estesa sino ai rapporti interpersonali: comunanza delle donne (in un momento in cui esse sono viste unicamente come uno strumento ludico e, soprattutto, riproduttivo) e, conseguentemente, della famiglia.
L'armonia e il giusto rilievo dato a ciascuno di questi elementi realizza il fine ultimo dello Stato che è la giustizia e soprattutto il Bene, massima virtù.

(«Tabula Rasa», n. 0, 2003)

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