sabato 4 aprile 2009

La Moda tra cultura e "cura di sé"

di Pietro Bossa (pietro.bossa@gmail.com)

Nella civiltà moderna le idee e i prodotti culturali sembrano apparire all’uomo come modelli dal contenuto imprescindibile e avvolgente. L’uomo metropolitano riceve nella città un ricco insieme di stimoli che affollano la sua mente e sovrastimolano l’attitudine verso il senso del fare. La vita della città si allontana dal ritmo tipico di un ambiente rurale in cui le immagini mentali e le azioni concrete scorrono con maggiore lentezza e uniformità.
In questo contesto nasce un rapporto controverso tra individuo e realtà, un relazionarsi problematico dell’uomo con se stesso e con l’insieme di legami che lo legano alla comunità. La coscienza individuale si confonde nella percezione della disparità tra soggettività e oggettività. L’individuo, il cittadino metropolitano all’interno della polis moderna, ha sviluppato una sensibilità maggiore verso ciò che lo circonda e una consapevole capacità di difesa e protezione dagli stimoli a cui è continuamente sottoposto.
Ne La differenziazione sociale(1) Simmel introduce il concetto di intelletto inteso come capacità difensiva del soggetto in opposizione alla società che pere preserva e pone al riparo dal persistente condizionamento di fattori esterni.
Simmel afferma che l’uomo ha imparato a rispondere ai numerosi stimoli che lo colpiscono reagendo con l’intelletto anziché con il cuore. Per difendere e preservare la propria soggettività dalla influenza opprimente della vita metropolitana, il cittadino ha sviluppato una intellettualità sofisticata, il distacco dall’individualità e la necessità di instaurare rapporti formali.
Gli abitanti di una grande città manifestano una sorta di riservatezza, di riserbo verso i concittadini. Ciò perché, secondo il filosofo di Berlino, se ai continui contatti esterni con innumerevoli individui corrispondessero altrettante reazioni interne, come avviene nelle cittadine dove si conoscono quasi tutte le persone che s’incontrano, sarebbe impossibile svolgere gli impegni della vita quotidiana in modo naturale.
L’intelletto del soggetto lo porta ad una forma di diffidenza e di scetticismo che risponde in maniera smorzata ad un forte stimolo esterno prodotto da una precedente sovrastimolazione nervosa che ne causa il continuo movimento e una contraddittorietà di fini. La più immediata conseguenza di questo atteggiamento è la sovrastimolazione sensoriale che si verifica nella città. In più, la precisione con cui tutto è misurato, monetizzato e calcolato spinge l’uomo della polis contemporanea a individuare un metro di misura che ne regoli, sincronizzi e guidi la vita: l’orologio. Esso è il metronomo sempre più rigido e puntuale che controlla il tempo e specializza il lavoro personale. Attraverso la precisione con cui tutto è misurato, monetizzato e calcolato, il tempo delle persone, quindi la loro vita o parte di essa, viene, a sua volta, accuratamente misurato e monetizzato. Nella metropoli gli individui agiscono in modo simultaneo; l’orologio permette e regola il funzionamento di tutte le metropoli, misura la vita e ne consente una quantificazione economica. L’importanza assunta dal tempo, dalla più rigida puntualità nelle promesse e nei servizi e quindi dal corrispondente strumento di misura nonché l’elevato numero di persone che vivono nella stessa città, agiscono nella tendenza all’organizzazione sociale che separa e conforma individui, luoghi e attività. Queste ultime rendono ogni attesa e ogni appuntamento mancato, in questa luce, un intollerabile spreco di tempo che la società non può permettersi.

In questo contesto sociale emergono gli impulsi e i desideri esistenziali dell’uomo, la ricerca della “oggettività del reale” e il continuo desiderio di conoscenza della propria identità soggettiva. Questi ultimi appaiono come i nodi esistenziali che legano le relazioni sociali e culturali del mondo occidentale moderno.
I notevoli cambiamenti apportati dal progresso hanno avuto un’incidenza decisiva anche nel rapporto tra razionalità e uso del tempo e, inoltre, tra soggettività e oggettività.
A ogni accrescimento del ruolo della soggettività si produce infatti, come contraccolpo, una dilatazione dell’ambito dell’oggettività (e viceversa), nel senso, ad esempio, in cui la razionalità inserita in un’operazione elettronica (oggettività priva di coscienza, progettata però consapevolmente da uno o più uomini) prende il posto della coscienza, dell’abilità, della capacità, dell’attenzione dell’individuo che con carta e penna eseguiva a mano le medesime operazioni. Simili movimenti risultano ora inglobati nella razionalità interna della macchina, in cui lo spirito è, per così dire, trapassato. La diffusione della tecnologia esonera dalle mansioni più pesanti o che richiedono maggior tempo, ma la prestazione si paga, persino nel campo dei lavori domestici. All’uomo moderno si spalanca infatti, all’improvviso, un inatteso spazio di virtualità, di tempo libero, che però non ha ancora appreso a utilizzare. La liberazione dalle fatiche non sempre si traduce, tuttavia, in una maggiore soddisfazione personale, in un aumento di tempo significativo di una vita vissuta sensatamente. La frequente insoddisfazione degli individui, l’inutilizzabilità di forze personali che retroagendo provocano tutta una serie di turbamenti e distruzioni, la ricerca, in parte sana e in parte morbosa, di conferme in un ambito esterno alla propria interiorità, sono velatamente collegate al fatto che la tecnica, nella sua oggettività, ha intrapreso un cammino proprio, talvolta più rapido della possibilità stessa di sviluppo delle persone. Quanto più la razionalità emigra dalla coscienza soggettiva e si insedia in automatismi e supporti materiali, tanto più il singolo rischia dunque di venire svuotato delle sue precedenti prerogative. La razionalità tende a diventare priva di senso e il senso privo di razionalità; il trasferimento della spiritualità entro automatismi oggettivi lascia agli individui uno spazio sempre più ampio di libertà e di indeterminatezza. Essi non si devono ora preoccupare tanto di sopravvivere, quanto di non “sottovivere”, di non restare al di sotto delle proprie possibilità inespresse. La pienezza e il significato della vita si ricercano però in tempi e spazi virtuali o superficiali.
Ciò che si dimostra dapprima estraneo o straniero è già in noi, è anzi noi. Attraverso un movimento, Simmel scopre l’essenziale nell’inessenziale, fissando il centro dei nostri interessi nella periferia della vita consueta: nel marginale, nell’eccentrico, in ciò che è frammentario, nelle possibilità non saturate che ci vengono incontro come il risultato di un’attività non interamente nostra, non interamente voluta (la moda, l’avventura, i sogni, le opere d’arte). L’idea vive nel residuale, nel frammentario; «al contrario dei concetti rigorosi il regno delle idee assomiglia ad una foresta che è stata abbattuta, dove rimangono, solo, tronchi con le radici moribonde incapaci d’essere di nuovo foresta, ma esteriormente ricoperti con ogni sorta di ornamento»(2).
Attraversando spazi logicamente intransitabili, si supera con il desiderio la parete dello specchio che separa il reale dall’immaginario, si penetra in un mondo senza spessore che appare più significativo di quello in cui tradizionalmente ed effettivamente viviamo. Si stabilisce un gioco di vicinanza e di lontananza.
Siamo sospinti verso una zona di irrealtà che soddisfa, verso un’illusione più vera di ogni realtà che ci circonda. All’interno della città moderna si aprono nuove possibilità impreviste e nuovi mondi extra territoriali alla realtà e al tempo cronologico, che alludono ad un’altra esistenza più degna di essere vissuta, a una gemma incastonata nella banalità del quotidiano. In città il soggetto «si lascia trascinare da ciò che lo colpisce maggiormente e lo porta verso ciò che superficialmente si è scelto, ma che in realtà è solo accettato istintivamente per convezione»(3).
Nel momento in cui l’intelletto non reagisce in risposta agli stimoli esterni ne consegue la passiva accettazione del mondo circostante che ha come sintomo una graduale dispersione dell’io. Quest’ultimo si manifesta come particella residuale diluita in un flusso di coscienza inaccessibile e frammentato. Ne consegue l’insensibilità verso ogni distinzione che è tipica di un conformismo in cui il confine tra soggettivo e oggettivo, tra etica e cura di sé, tra pubblico e privato diviene gradualmente invisibile e sfumato.
In questo cambiamento sociale le esperienze fino a ieri ritenute normali, oggi vengono annoverate tra le sindromi psicologiche. Frank Furedi parla in proposito di una invasione della psicologia nella vita quotidiana, da cui scaturisce in noi tutti un senso di vulnerabilità e quindi un bisogno di protezione, di tutela, che egli definisce “cura”.
Ciò che in Furedi appare come l’affermazione di una cultura terapeutica(4) in risposta alla diffusione di una cultura dell’emozione e di una radicale invasione del pubblico nel privato, si traduce in una forma di assistenza sociale formalmente intesa come controllo e monitoraggio del soggetto. Furedi afferma che l’imperativo terapeutico che massicciamente va diffondendosi in questa società ha lo scopo di promuovere non tanto l’autorealizzazione, quanto l’autolimitazione degli individui che, una volta persuasi di avere un sé fragile e debole, saranno loro stessi a chiedere un socorso al potere. E qui non si fatica a intravedere le potenziali implicazioni autoritarie a cui inevitabilmente porta la diffusione generalizzata dell’etica terapeutica, che è la versione secolarizzata di quell’etica della salvezza con la quale le religioni hanno sempre tenuto gli uomini sotto tutela.
La cosiddetta pervasività della “cultura terapeutica”, intesa come cultura del benessere ovvero come soluzione al disagio personale, rivela una forma di espressione ulteriore che ben si collega al pensiero di Simmel. Essa pone rimedio alla tendenza verso l’alienazione e frammentazione del sé che provocava un senso diminuito dell’io.
Nel celebre saggio La moda(5), scritto e pubblicato nel 1911 all’interno del volume Philosophische Kultur(6), Simmel analizza in chiave critica la capacità della moda stessa di concentrarsi su un particolare determinato della società risaltandolo e facendone un universale dotato di senso. «La moda innalza l’insignificante facendone il rappresentante di una comunità, l’incarnazione particolare di uno spirito collettivo. Essa concede agli individui una certa sovraindividualità»(7) che appaga superficialmente la ricerca di valore del soggetto.

La moda agisce nell’individuo come “cura” estetico-psicologica del sé. Attraverso ciò che è parziale essa esercita una forza particolare nell’esistere e apre all’uomo la conoscenza del cosiddetto essere-per-sé, che rivive nell’esistenzialismo.
L’insignificante, in questa nuova visione della vita, appare dotato di senso nel suo appartenere all’individuo.

Il particolare per il cittadino che vive in società riveste, quindi, un ruolo fondamentale in quanto è portatore di stile. La stilizzazione del particolare, ovvero la ripetizione di un particolare genere o colore, è il primo meccanismo che muove la moda e la identifica come cura sociale; questa stilizzazione dell’effimero si conforma nel processo di imitazione da parte del singolo attraverso la cura di sé, aprendo la via ad una radicale ridefinizione della propria personalità. Il fenomeno della moda è dunque un’espressione pratica del dualismo nato tra universale e particolare, rapporto mediato dalla mente umana.
La moda nel pensiero simmeliano è una forma di imitazione che nasce dal perseguimento di un modello stabilito, che “cura” e appaga il bisogno sociale. Da un lato essa conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, (ecco la tendenza all’universale), dunque verso ciò che è considerato convenzionale in una comunità. Allo stesso tempo l’imitazione sociale “cura” e appaga il bisogno di diversità, la tendenza all’individualismo, al cambiamento, al distinguersi.
Nella ricerca di ciò che unisce caratteri diversi della realtà spesso si trova difficoltà a separare e a diversificare qualità di cose che appaiono, ad una prima analisi, uguali o simili. L’individuo dà più importanza alle differenze che alle somiglianze, sottolinea le sfumature, le variazioni, le diversità proprio nel momento in cui cerca ciò che unisce, ciò che rende una serie di fenomeni o di fatti continua:

Noi, mi sembra, dovremmo sempre osservare in che cosa gli oggetti di cui acquisiamo la conoscenza si differenziano, piuttosto che ciò per cui sono uguali tra loro. Il distinguere è più difficile, più faticoso del trovare la somiglianza, quando si è fatta una distinzione esatta, gli oggetti proprio allora si confrontano da sé. Se si comincia con il trovare le cose eguali o simili, si dà facilmente il caso che si trascurino, per amore della propria ipotesi e del proprio modo di pensare, quelle determinazioni per cui le cose sono molto differenti l’una dall’altra(8)


Mettendo la moda in rapporto con le tante forme di vita con le quali la tendenza all’uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale coagiscono costantemente, Simmel afferma che, «pur presentando particolari caratteristiche, essa dimostra di essere solo una di quelle forme di vita nelle quali la finalità sociale e quella individuale hanno oggettivato con gli stessi diritti le correnti opposte della vita»(9).
Così come la vita pubblica e politica, la medicina e l’istruzione, anche la moda esercita, all’interno della stessa vita sociale una forza trascinante che si esplicita nel compromesso tra due tendenze: l’adesione e l’assorbimento in un gruppo sociale da un lato, e la spinta alla distinzione del singolo tra i membri del gruppo, dall’altro. Da questi due processi derivano l’imitazione e la differenziazione sociale.
La moda, in questo senso, non manifesta l’uomo nella sua interezza, ma nella sua complessità; essa è un segno esteriore della precarietà che lo contraddistingue. Il terreno in cui agisce la moda è l’esteriore, il marginale attraverso la molteplicità delle sue forme essa si offre come cura terapeutica alla instabilità e alla frammentarietà dell’io.

1) Cfr. G. SIMMEL, La differenziazione sociale, a cura di Bruno Accarino, prefazione di Franco Ferrarotti, Laterza, Bari 1998.
2) Cfr. E. TROELTSCH, Der historische Entwicklungsbegriff in dem modernen Geist; Phanömenologiche Schule: Scheler, Croce, Bergson, ID. Historische Zeitschrift, Oldembourg Verlag, Berlino-Monaco, Bd. 125, 3 Folge, Band 29, 1922.
3) Cfr. G. SIMMEL, La differenziazione sociale, op cit.
4) Cfr. F. FUREDI, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2005.
5) Cfr. G. SIMMEL, La moda, a cura di L. Perucchi, Mondadori, Milano 2001.
6) Cfr. W. KLINKHARDT, Philosophische Kultur. Gesammelte Essais, Lipsia, 1911, 2 ed. accr. 1919, 3 ed. 1923, ora disponibile anche presso K. Wagenbach, 1983.
7) Cfr. G. SIMMEL, La moda, op. cit., p. 63.
8) Cfr. J. W. GOETHE, Teoria della natura, a cura di M. Montanari, Boringhieri, Torino 1958, p. 22.
9) Cfr. G. SIMMEL, La moda, op. cit., p. 60.

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