mercoledì 15 aprile 2009

Arte dell’azione come creazione di comunità trasversali di ricerca

di Gustavo Sánchez Velandia (gustavo.sanchez@ehess.fr; III di 4)

Dopo i suoi studi artistici a Bogotà Ochoa deve trasferirsi a Roma dove decide iscriversi alla facoltà di filosofia e di andare a vivere come volontario in una comunità di disabili (Capodarco). Egli fa queste due cose in quanto artista plastico cha va all’incontro di altri corpi e di altri pensieri. Si trattava quindi, dichiara, di un’azione plastica. Non bisogna intenderla, però, semplicemente come l’intento di una fusione fra arte e vita. Egli cercava condizioni propizie per continuare la sua ricerca artistica trans-ontologica. Come abbiamo visto questa ricerca ha a che fare con un tipo di pensiero e di conoscenza che si fondano sulla relazione con l’alterità, con l’altro in quanto esteriorità -corporale, linguistica, mentale. Esteriorità, quindi, indipendente dai modelli che segue lo sguardo e irriducibile alle grammatiche di cui l'Io si serve per organizzare e comunicare.
Ciò implicava che la sua pratica artistica doveva in un certo senso emanciparsi dalla disciplina artistica. Con questo egli intende soprattutto due cose: abbandonare la volontà di dominio del materiale e abbandonare l’ambito disciplinare artistico che - dovuto ad una civilizzata divisione del lavoro intellettuale - vieta all’arte di addentrarsi nei terreni delle altre discipline: la conoscenza (scienza) ed il pensiero (filosofia) [E’ evidente che tutte le discipline comportano conoscenza e pensiero, ma la distinzione che qui operiamo riguarda piuttosto delle relazioni di potere fra le discipline e il modo in cui demarcano i loro domini. La scienza fonda il suo dominio sulla conoscenza e la filosofia sul pensiero].
Bisogna dire che con “abbandono della volontà di dominio del materiale”, Ochoa intende che nella relazione che l’artista sviluppa con i materiali, essi devono essere vissuti come alterità, vale a dire come realtà indipendenti dall’artista e che non si faranno mai presenti per intero. Lo stesso termine materiale pone dei problemi a questo punto, in quanto fa pensare ad un’oggettualità che l’artista può percepire interamente e quindi dominare. Useremo la parola “altrità”, distinguendola di “alterità”, per parlare di ciò che si presenta allo sguardo dell’artista e riserveremo alterità (come abbiamo fatto finora) per parlare di ciò che è esteriore e irriducibile ai modelli con cui opera detto sguardo. Abbandonare la volontà di dominio implica una certa perseveranza, una certa insistenza, nel sostare in quella pratica in cui l’artista fa esperienza dell’altrità e allontanarsi da quella in cui l’artista è capace di usare l’esperienza accumulata per attirare, commuovere, imprigionare lo sguardo altrui. Inoltre, per Ochoa, sostare nella conoscenza dell’altrità non basta, ma tale pratica deve essere legata allo scopo di svelare l’alterità nell’altrità. Tutto ciò sembrerebbe paradossale: perseverare con insistenza per raggiungere un dato scopo potrebbe essere una buona definizione di disciplina. Si tratta infatti di un tipo di disciplina, di una limitazione di sé. L’arte del S. XX ha compiuto dei passi importanti nella pratica del sostare a contatto con l’altrità. Così, ha compreso che l’altrità con la quale interagisce non si esaurisce in un pigmento o in una materia lignea o litica, per esempio, ma che tale materia o tale pigmento appartengono a realtà più estese, sociali, ecologiche, economiche, che le rendono possibili. Ma il problema dell’alterità dell’altrità non si è posto in un modo così chiaro. La difficoltà che ciò implica, d’accordo ad Ochoa, è che dato che l’arte si vuole una sfera autonoma - e quindi ha bisogno di riprodursi come economia e come insieme di pratiche - se l’opera d’arte singola non ha alcuno scopo al di fuori della sua unità finale, lo scopo che gli viene imposto è quello della riproduzione della totalità da cui dipende (la sfera artistica). La sfera artistica inoltre intrattiene un rapporto ambiguo con la propria autonomia giacché pare voler costruirla adoperando le stesse pratiche di riproduzione della totalità globale.
Con l’azione plastica “inscriversi in una facoltà di filosofia e andare a vivere come volontario in una comunità di disabili”, cercava dunque, un contesto adatto alla sua pratica artistica fissando alcuni luoghi intorno ai quali orbitare: - L’artista ricercatore per opposizione all’artista produttore.
- L’esteriorità corporale (disabilità fisica).
- L’esteriorità linguistica (disabilità mentale).
- Il pensiero trans-linguistico in relazione alla storia del pensiero (occidentale).
- Inter-disciplinare (relazione fra le discipline) e trans-disciplinare (relazione fra le discipline e l’alterità).
- L’esteriorità economica (il volontario, Capodarco che offre vitto e alloggio in cambio.)
Per Ochoa, l’artista d’azione interviene nella temporalità quotidiana generando una piega nel suo ordine. Quest’ordine è conformato per l’intreccio di strutture o grammatiche attraverso le quali distribuiamo i nostri tempi, le nostre attività, le nostre energie, e ci relazioniamo gli uni agli altri. Quest’ordine, quindi, non è una grammatica, una struttura o un linguaggio, è piuttosto una sorta di incastro fra diverse strutture, grammatiche e linguaggi. Generare una piega sarebbe allora, qualcosa come provocare uno sfasamento fra i diversi ordini o fare in modo che un ordine infliggesse un taglio in un altro. Nei due posti che aveva scelto Ochoa, la facoltà e la comunità, la struttura della comunicazione corre parallela a quella dei ruoli [La comunicazione tende a essere simmetrica fra soggetti che occupano lo stesso ruolo ma asimmetrica fra ruoli diversi. Queste asimmetrie possono sostenere o generare gerarchie fra i ruoli]; allo stesso tempo la comunicazione segue l’ordine delle tecniche (afasia(1), oralità, grafia, meccanizzazione, elettronica) e a loro volta ognuna di queste tecniche è una struttura a sé stante che demarca certi modi di essere della corporalità e della relazionalità (ognuna di queste tecniche può essere vista come un modo di potenziare o estendere il proprio corpo). Tutte queste tecniche sono attraversate [1] da un lato da tensioni materiali-astratte che potrebbero essere gerarchizzate collocando alla base la più barbara (la più materiale: afasia) e alla testa la più moderna (la più astratta: elettronica) - e quindi facendo coincidere la loro evoluzione storica con il progresso - e [2] dall’altro lato dalla tensione tattile-visiva(2) che giustificherebbe un secondo tipo di gerarchia con alla base le più corporali (le più tattili) e alla testa le più spirituali (le più visive) - la loro evoluzione storica descriverebbe dunque, una parabola il cui punto più alto di spiritualità si troverebbe nella grafia per decadere dopo con l’elettronica. Bisogna dire che, come abbiamo visto con il caso di Platone, non deve confondersi l’oralità con la parola; quest’ultima sarebbe piuttosto la tendenza a volatilizzare il significante che si trasmette dall’oralità alle altre tecniche e che probabilmente si fonda su un’identificazione fra linguaggio, pensiero e struttura verbale. Sebbene, come prova a mostrare Chomsky, la struttura verbale sia una struttura innata della mente-cervello risulta assurdo ridurre ad una funzione localizzata il pensiero ed il linguaggio. Tale riduzione comporta, inoltre, una disumanizzazione dell’afasico(3) e del malato mentale in quanto si pretende identificare quella funzione (la struttura verbale) con le capacità più specifiche della specie umana e che la distinguerebbero dalle altre: in altre parole pretende che sia tale struttura a rendere umano l’essere umano; chi non la possiede è quindi meno umano. Questo ci porta all’altra tensione che attraversa l’azione di Ochoa: i due luoghi scelti (la facoltà di filosofia e Capodarco) si trovano coinvolti nelle relazioni normodotato-disabile e ragione-follia.
L’azione plastica del nostro artista si è articolata in una serie di “piccole trasgressioni grammaticali” intorno alle quali egli voleva generare due comunità di ricerca (una alla facoltà e una alla comunità) dei confini labili e trasversali alle gerarchie esistenti nei due luoghi. In un momento ancora incerto le due comunità trasversali avrebbero dovuto toccarsi implicando inoltre una trasgressione nella grammatica spaziale urbana (fra la facoltà e Capodarco c’è una distanza di più di 9 km). Egli riassumeva la creazione di queste comunità di ricerca translinguistiche nel progetto di un’estetica pratica della filsofia: “La filosofia, non tanto nei suoi contenuti quanto nei suoi modi di essere - e che cosa sono questi modi se non la forma in cui essa compone i suoi materiali, organizza le vibrazioni delle sue voci, diffonde le sue scritture, costruisce le sue aule? - prescrive determinate relazioni ai corpi al di fuori delle quali decide che non può esistere. In quale luogo della filosofia si trova questa decisione? Non è piuttosto una sua abitudine arbitraria? E se la filosofia decide che non può uscire da una specifica relazione di corpi la quale è completamente compatibile con la gerarchia di corpi del nostro presente ossia con il dominio che alcuni corpi esercitano su altri corpi è possibile che essa riesca a farne una seria critica (di tale dominio)?” (Ochoa 2008)
La serie di “trasgressioni grammaticali” sarebbe la seguente:
- Ai ruoli di allievo e volontario anteporrà quello di artista ricercatore.
- L’artista ricercatore conosce e pensa l’altrità in cui si trova.
- Elaborare delle conoscenze non coincide con elaborare delle rappresentazioni fedeli dell’altrità (l’altrità non si da mai per intero).
- Possibilità da esplorare: conoscenza come pratica costante di apertura: tenere aperte le condizione perché l’alterità dell’altrità possa presentarsi ogni volta.
- Pensare è mettere in moto il corpo-mente: interagire con l’altrità.
- L’interazione con una comunità implica in qualche misura la sua trasformazione.
- Prendere in modo responsabile la trasformazione, non vuol dire dirigerla (ciò implicherebbe piegarla ad un modello pre-esistente all’incontro con l’altrità) ma accordarla all’alterità.
- Ogni estensione del corpo configura un tipo di scrittura cioè un modo in cui il corpo-mente lascia le impronte della sua attività nell’altrità.
- Parlare non si identifica con attivare la funzione verbale della mente-cervello. Tale funzione si attiva anche, per esempio, quando si disegna in modo analitico.
- Possibilità da esplorare: parlare “con il lato destro del cervello”, parlare non verbalmente. [Si sa che l’afasia, in quanto malattia, è causata da danni provocati in determinate aree del cervello (area di Broca, area di Wernicke) localizzate generalmente nell’emisfero sinistro. Ciononostante, quando la lesione è permanente l’afasico impara a parlare usando altre aree del cervello].
Ochoa, quindi, comincia a lavorare nella costruzione delle due comunità trasversali esplorando diverse modalità di conversazione non verbale. Non si tratta necessariamente, come si è visto prima, di conversazioni non orali ma di conversazioni nelle quali la funzione verbale sia una funzione fra le altre e non la funzione primordiale. Queste conversazioni potevano, per tanto, comprendere quello che normalmente chiamiamo conversazione (scambio di frasi articolate oralmente) ma si provava ad evitare in esse che l’oralità si riducesse al verbale. Così l’oralità veniva esaminata soprattutto come scrittura, vale a dire come impronta - sebbene vibrazione effimera - lasciata dal corpo-mente nella sua interazione con l’altro, ed affiancata ad altre scritture (altre estensioni del corpo-mente), anch’esse vissute in modo non verbale. Le conversazioni di Ochoa sono delle istallazioni nelle quali usa dei materiali leggeri e flessibili assieme alla sua voce ed al suo corpo per interagire con la facoltà e la comunità, con i loro abitanti ed i loro spazi. L’istallazione è vissuta in esse come estensione del corpo-mente e come orizzonte generale per una scrittura transontologica.

1) Uso qui la parola afasia nel suo senso etimologico: non-parola. Storicamente si tratta del periodo precedente all’ingresso del linguaggio verbale. Implica quindi un pensiero ed una comunicazione non verbali. Vigotsky, per esempio, chiama questo tipo di pensiero, pensiero strumentale perché in rapporto all’uso di strumenti da non confondere, quindi, con la ragione strumentale o strategica.
2) Come abbiamo visto il visivo non coincide pienamente con la visione ma si tratta piuttosto della visione considerata come fenomeno immateriale e depurata quindi dalla sua componente tattile.
3) In questo caso mi riferisco al malato soprattutto ma anche, perché no?, a chi si trova a esperire un pensiero non-parola. La afasia in quanto malattia ha a che fare con un danno nel lato sinistro del cervello e come abbiamo visto il pensiero trans-ontologico sembrerebbe avere a che fare, invece, con il lato destro del cervello.

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